I primi nuclei abitativi si svilupparono attorno alle fontane di Mesubidda, Carthonna e S’antana ‘e susu, punti nevralgici della vita paesana quotidiana, soprattutto prima che nell’autunno del 1929 venisse inaugurato l’acquedotto.
L’acqua che sgorgava da queste fonti era potabile e perfetta per gli usi domestici e per lungo tempo, una volta l’anno, si ammantava anche di una certa sacralità.
Lo chiamavano su ziru de sas antanas o de s’abba muda, un giro delle fontane che le giovani donne compivano la sera della vigilia di San Giovanni (festeggiato il 24 giugno) e dalle quali ognuna avrebbe riempito il proprio recipiente. Si racconta che la passeggiata doveva svolgersi in rigoroso silenzio e per questo ogni giovane teneva un sorso d’acqua in bocca, sino alla fonte seguente.
Il rituale, che comprendeva anche la raccolta di fiori e erbe officinali, si concludeva nella chiesa dedicata al santo Battista. Qui l’acqua sarebbe stata benedetta prima di venire posizionata alla finestra, per assorbire luce di luna e selenu, la rugiada del mattino, come strascico di un immemore rito legato al solstizio d’estate.
Le chiese
Al pari delle fonti, sin da subito, anche le chiese divennero i luoghi principali deputati all’incontro, allo scambio e, naturalmente, alla devozione.
La chiesa di San Giovanni sorge a nord, nella parte alta del paese, delimitando, assieme ai luoghi dedicati alla Madonna del Carmelo, Sant’Antioco e San Gavino, il nucleo più storico dell’abitato.
Si tratta di una piccola chiesetta dall’architettura gotico-aragonese e che un’iscrizione esterna fa risalire al 1756. Seppur modificatesi nel tempo, le celebrazioni al santo si tengono ancora oggi, animando il sagrato e la piazza sottostante con gli abiti tradizionali dai colori sgargianti, i cavalli bardati a festa, le preghiere e la gioia per l’inizio della stagione estiva.
Dirimpetto alla fonte di S’antana ‘e susu sorge la chiesa dedicata alla Madonna del Carmelo, il cui utilizzo è probabilmente quello che, tra tutti i luoghi di culto del paese, ha subito più modifiche.
L’edificio, nel 1643 come sede dell’omonima confraternita, fu aperto al culto per oltre due secoli, prima di essere convertito ad usi civici e prigione. Quella di cui godiamo oggi è la chiesetta ricostruita a seguito di un crollo e riconsacrata nel 1912; è a un’unica navata e conserva al suo interno l’altare originario protetto da volte preziosamente affrescate.
Se i sopracitati luoghi sono ben incastonati tra case e viottoli, la chiesa di Sant’Antioco si distingue già per la sua posizione, situata in una grande piazza che si apre all’ampio panorama tra l’abitato e la valle di Gusana.
La facciata è piuttosto semplice mentre al suo interno cinque arcate di trachite rosa disposte in un unica navata accompagnano verso l’altare maggiore, sormontato dalle scene di vita e martirio del santo, impresse su affreschi del 1700.
La festa di Sant’Antioco
C’è sempre stato un rapporto speciale tra i gavoesi e Sant’Antiocru dottore, come viene chiamato localmente. Sebbene non fosse il patrono, la venerazione e i festeggiamenti verso il santo erano i più intensi, attesi e partecipati, tanto da richiamare devoti e amici dei paesi vicini.
Al martire sulcitano erano dedicate s’ottada (la messa eseguita una settimana dopo la data canonica (la seconda domenica di Pasqua); ulteriori celebrazioni disposte per rispettare sentite promesse, e processioni dedicate per invocare la pioggia nei periodi più siccitosi, considerata la frequente concomitanza tra questa e i festeggiamenti.
Oltre che per l’acqua, fondamentale per le campagne, tanti fedeli si rivolgevano al medico martire per pronte guarigioni, offrendo preghiere ed ex voto di cera (sos pinzos de hera) che venivano accuratamente riposti attorno alla statua, quest’ultima talmente grande e imponente che per indicare una persona alta di statura si usava l’espressione “Pares sant’Antiocru” – “Sembri sant’Antioco”.
La mole dell’opera lignea, oggi conservata all’interno della chiesa, fu al centro persino di una piccola rivoluzione sociale, quando sos vassallos, i più poveri, si rifiutarono di portare in spalla il pesante simulacro per le impervie vie del paese, mentre i credenti delle famiglie nobili, sos sennores, riservavano tale fatica soltanto al breve e agevole tratto che separa l’ingresso della chiesa da quello della piazza.
L’accaduto diede spinta alla sostituzione della statua con un’opera più modesta, contribuendo, in un certo senso, anche a una decisiva modifica negli equilibri comunitari.
A distanza di un po’ di decenni, il sentimento dei gavoesi per Sant’Antiocru continua ad essere vivo e espresso con la solenne processione, i balli e le gare poetiche, ma soprattutto dal prezioso momento dell’incontro tra le persone nella grande piazza che guarda alla vallata.