Tra i tanti aspetti culturali che si fondano sulla tradizione, il ballo tondo, sicuramente, accomuna tutti e si manifesta nelle più svariate ricorrenze.
Che siano matrimoni, feste religiose o carnevale, a Gavoi ogni occasione è buona per un ballo, e pare sia sempre stato così.
Si ballava al rientro dagli orti, con il peso della fatica sulle spalle e i colori della terra lavorata per tutto il giorno addosso, ma bastava un cenno, una nota, un accenno di canto e il cerchio andava a formarsi, dando vita a un rito che sanciva la conclusione della giornata.
Naturalmente si ballava anche alle feste: tra i graniti di S’antana ‘e susu per le celebrazione della Madonna del Carmelo, davanti al bel panorama sulla valle per Sant’Antioco o nella via sottostante la chiesa di San Giovanni, quando ancora la piazza di cui godiamo oggi non c’era.
Si ballava perfino al ritorno dalle feste della Madonna di Gonare, tra Sarule e Orani, o da quella di San Basilio di Ollolai, nei tempi in cui, per raggiungere i paesi vicini, si seguivano percorsi inerpicati tra i monti, e gli spiazzi ove avvenivano momenti di sosta invitavano al ballo tondo. Come quando si fermavano in Sa rughe de Sant’Omine, al rientro da Ollolai, e per unirsi a quel cerchio accorrevano addirittura dal rione di Moddone.
Tra i bei balli di carnevale, invece, quelli nella piazza di Santu Bainzu, al centro del paese, occupano il primo posto nel podio dei ricordi.
Qui si riversavano persone provenienti da ogni vicinato, soprattutto dalla parte alta del paese; non c’era il gradone che limita oggi la piazza e il cerchio finiva per occupare tutto lo spazio, dalla fontanella al tabacchino, a sa domo de dottor Marcello, dirimpetto alla stessa piazza.
Ma i partecipanti, unitisi per scacciare l’inverno al suono di tamburi, triangoli, pipiolos e sorgonittos erano talmente tanti che, spesso, tutto quello spazio non bastava; così il primo cerchio finiva per contenerne un altro e quest’ultimo un altro ancora: era lo spettacolo de sos ballos a tres pizas de carrasecare, i balli a tre cerchi del carnevale.
Il ballo, oggi
L’avvento di grandi cambiamenti e i decenni che ci separano dal passato non hanno intaccato il legame dei gavoesi con quei suoni e quei passi ritmati.
Il ballo è vissuto ancora oggi come un valore, formatosi dalla combinazione di tanti elementi che va oltre il suono e intercede in buoni sentimenti e armonia: tutti eseguono gli stessi movimenti, offrono e accolgono braccia, mani e fianchi, in una catena in cui ognuno è connesso all’altro. Qualcuno può dilettarsi in salti in avanti, ma si tratta di brevi istanti perché ognuno riprende in fretta la propria posizione, ricostruendo quel cerchio perfetto.
E dunque, ancora oggi, i balli del Carnevale hanno un posto nel cuore, come quelli polverosi nel piazzale del santuario di Sa Itria o quelli gioiosi dei matrimoni e delle feste.
E quando si colorano dei costumi tradizionali, come succede nei momenti in cui ragazzi del gruppo folk Pro Loco si esibiscono in palchi e strade, diventano anche più belli.
“Quando al tuo paese c’è il ballo tondo, se non hai acciacchi che ti tormentano o mostri che ti inseguono, non puoi startene lì a guardare. Devi entrare nel ballo. Se hai memoria, sai quale braccio toccare per chiedere spazio tra persone d’età che sappiano muoversi come si conviene. Se hai occhio e ricordi l’amore, sai vedere anche i giovani che hanno capito tutto e si muovono sicuri dentro il ritmo che impegna schiena, ginocchi e sentidu in intense vibrazioni. Puoi ballare anche con quei giovani. Non puoi startene fuori a guardare, come un turista venuto dalla nebbia per pescare le carpe”.
Antonello Satta
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