La strada che porta a Sa Itria serpenteggia sull’altipiano che si estende tra i territori di Gavoi, Lodine, Fonni, Orgosolo e Mamoiada, dove ogni curva apre a visioni inedite, facendo scorgere confini lontani, carpire brani di storia e intuire antiche presenze.
Il Santuario dedicato alla Madonna d’Itria ha la capacità di affascinare tutti coloro che gli concedono una visita, per la calma che si respira, le musiche della campagna che lo circondano, la storia che conserva o l’architettura e la sacralità degli spazi, dove convivono cattolicesimo e antichi simboli della spiritualità nuragica.
La chiesa, datata 1903, è circondata da muristenes – le piccole casette a un piano, dimore temporanee dei novenanti – e sostituì un piccolo edificio in calce bianca e ricoperto d’edera, del quale restano a testimonianza una campana, datata 1543, una statua lignea e parte delle mura perimetrali.
Attorno al santuario sono presenti nuraghi, resti di antichi villaggi e domus de janas, ma è all’interno del grande giardino che si può riscontrare il perfetto esempio di sincretismo religioso: a pochi metri dalla grande chiesa, infatti, svetta la preistorica Perda Fitta o, per i gavoesi, Sa Perda de Sa Itria.
Segno indiscusso del culto megalitico che fa intuire antichi rapporti tra uomo e divinità, il menhir si erge alto e possente, contrapposto alla chiesa, come a guardare la devozione trasformatasi nel tempo e apparendo pure un po’ sornione, quasi a pensare che, nonostante tutto, lui sta ancora lì, icona di quel credo pagano quasi dimenticato e simbolo di Sa Itria.
La Festa di Sa Itria
Il grande valore che la comunità di Gavoi dona alla festa di Sa Itria (ultima domenica di luglio) ha radici profonde: sarà per lo scenario, una rigenerante campagna condita di pietre millenarie e profumo di armidda, il timo selvatico; oppure per la storia, quella dell’antica civiltà sarda che si intreccia fortemente con quella più moderna o ancora, per la grande fede e la vitale voglia di convivialità.
I tanti anziani che nel corso degli anni hanno raccontato i momenti dedicati alla festa, la ricordano come un grande evento che permetteva l’incontro, la condivisione e lo scambio e che aveva il sapore della grande vacanza: erano numerosissime le famiglie che abitavano il santuario prima delle festa e continuavano a risiedervi anche dopo, approfittando della bella stagione.
Dopo le funzioni religiose e la giornata di lavoro, tutti si concedevano chiacchiere, balli e giochi di carte, prete compreso, in un’atmosfera intimamente familiare e di ospitalità non esibita.
Tanto di quest’aura si respira ancora oggi: c’è chi rispetta una propria promessa e percorre il tragitto dal paese al santuario a piedi; chi trascorre le giornate della festa abitando i muristenes e chi raggiunge il santuario dai paesi vicini. Per qualche giorno, inoltre, questo piccolo mondo si divide anche tra chi preferisce la novena del mattino e chi quella della sera e qualsiasi sia la preferenza, un caffè o un dolcino offerti dal Comitato sono sempre pronti.
Nel corso degli anni sono cambiati tanti elementi ma una cosa è rimasta intatta: la stessa identica voglia di rincontrarsi, di condividere e di ballare assieme giganteschi (e polverosi) balli tondi.
Su Palu e la tradizione equestre
La Madonna d’Itria, da Ogiditria, (“via della luce, guida della strada”), è considerata la protettrice dei pastori, i principali protagonisti della festa che si ritrovavano nel fresco dell’altipiano dopo aver svernato nei pascoli più miti delle pianure dell’Isola.
A loro è dedicata la ricorrenza che conserva tutti gli elementi del pastoralismo, dalla religiosità alla gastronomia passando per la cultura equestre.
Proprio quest’ultima ha lasciato nella manifestazione la sua impronta maggiore, al pari della fede, tanto da far ricordare, ancora oggi, le prodezze, il coraggio e l’abilità dei cavallerizzi storici del paese.
Le origini del palio risalirebbero al 1388, anno in cui il sindaco della villa di Gavoi, Bernardus Lepore, partecipava in rappresentanza della curatoria della Barbagia di Ollolai, alla firma del trattato di pace fra Eleonora D’Arborea e Giovanni I d’Aragona. Il ruolo svolto dal mediatore gavoese portò all’ottenimento di alcune agevolazioni fiscali per Gavoi e i suoi zillonarjos e di un alto patronato in denaro da parte della Giudicessa per l’istituzione di una corsa di cavalli.
La cultura equestre ha segnato la storia di Gavoi: dai finimenti per cavalli forgiati da artigiani e fabbri e commerciati dai zillonarjos in tutta l’Isola, ai destrieri allevati, passando per le tradizioni ippiche del paese che hanno varcato i confini comunali, continuando a lasciare il segno in più aspetti della vita sociale e comunitaria.
Senza dubbio su Palu, la corsa equestre, costituisce il cuore di questo tratto, attestandosi come uno dei più importanti e storici appuntamenti del calendario delle manifestazioni ippiche isolane tanto da richiamare appassionati provenienti dall’intera isola, prima ancora che venissero istituiti ippodromi e galoppatoi e il calendario estivo si arricchisse dei tanti eventi legati alla cultura equestre.
“Ognuno aveva uno, due, tre cavalli e nella festa di Sa Itria si sfidavano nelle corse […] Il percorso era diverso: prima si partiva dal fiume di Pirastreddu e si arrivava al santuario, altre volte invece, si correva da Orgorui, al confine tra Gavoi, Mamoiada e Orgosolo.”
Su Palu, oggi
Rispetto a qualche decennio fa sono cambiati tanti elementi: l’antica mulattiera che definiva il percorso della corsa ha lasciato spazio a una pista circolare, agevole ma allo stesso tempo molto impegnativa, amata dagli appassionati del settore perché mette alla prova la qualità di fantini e destrieri; a dar prova del proprio coraggio non sono più i pastori ma i migliori professionisti delle corse al galoppo che si contendono un nutrito montepremi mentre un pubblico appassionato e attento affolla l’altipiano al tramonto.
La tradizione equestre contraddistingue anche le altre giornate della festa sino ad arrivare alla chiusura dei festeggiamenti sancita da Sa Ghirada dae Sa Itria, il rientro a cavallo dal santuario a Gavoi, dove decine di cavalieri, capeggiati dal parroco e dal presidente del Comitato, percorrono la strada dei novenanti di rientro dalla festa.