GAVOI. GIOVEDI 27 FEBBRAIO 2025.
ALLE ORE 16 “SORTILLA ‘E TUMBARINOS”
Un carnevale musicale dove tutti i presenti prendono parte alla festa con la musica degli strumenti tradizionali, con la danza e il canto.
Jovia Lardajola, il giorno di Giovedì Grasso, è l’inizio del carnevale a Gavoi. Si possono vedere per strada centinaia di tamburi. Questa “Sortilla ‘e tumbarinos” con un altissimo numero di suonatori, ha preso l’avvio a Gavoi dopo il 1982, quando ha ripreso vigore la costruzione dei tamburi, grazie ad una scuola impropria che vedeva qualche anziano insegnare la tecnica costruttiva ad alcuni ragazzi. Oggi anche i giovani riescono a costruire il proprio tamburo. Un fatto abbastanza recente, ma che ha radici antiche, profonde. Con la musica e gli strumenti gavoesi si è conservata la danza, il canto e la poesia popolare di tradizione orale. La pelle utilizzata per la costruzione del tamburo è di capra, pecora o capretto.
STORIA
Il carnevale di Gavoi con la sua musica è stato sempre caratterizzato dalla presenza del tamburo. Vittorio Angius nel Dizionario del Casalis (1833-1855) alla voce Gavoi scriveva: «Il ballo è il divertimento comune e si fa o al concerto del coro o al suon del tamburo, o alla melodia delle canne».
Oggi a Gavoi in ogni casa c’è più di un tamburo. Il protagonista di questa tragedia musicale sembra essere ognuno di noi, con la propria maschera ed il proprio travestimento, inventato da ciascuno. Ognuno vive a suo modo il carnevale. Capire questo dramma è cercare di capire il nostro io e quello di tutti gli altri, ma non è cosa semplice. E’ il dramma della vita e della morte, si cerca di rinascere continuamente con gli eccessi del carnevale, nel suonare, nel danzare, nel cantare, nel bere, nel mangiare. La nostra azione è la nostra passione.
Il nostro “attore” sembra non avere pubblico, interpreta se stesso, cambia spesso i propri sentimenti e le proprie emozioni. La passione è quel suono drammatico e profondo di tamburo, quella musica che “trascina l’anima e l’uomo fuori di sé, in estasi”. Una sorta di innodia tra Ecce Homo e Dioniso.
Ma rappresentare con le parole questi “moti dell’anima”, queste passioni, pazzie o manìe non basta per capire. Ci aiuta la memoria dei suoni o i suoni della memoria, stratificata nel tempo che ci portiamo dentro, che ci fa ancora oggi utilizzare pelli, legno, sughero, orbace, campanacci, ossa, tamburi, vesciche di maiale e altri strumenti, quasi inconsciamente.
Nel carnevale oggi troviamo molti segni del cambiamento sociale e culturale di una comunità.
Si costruiscono nuovi tamburi, nuove maschere.
Il suono del tamburo con le sue diverse frequenze, avvolge il suonatore immerso nella festa mentre suona, così come la pelle di capra avvolge il tamburo o qualche volta la faccia. Una maschera sonora che ci ricopre. Ognuno ha un proprio sentire e queste onde sonore, percepite con l’anima, sono capaci di farti venire in mente le diverse quartine da ballo che ti costringono a cantare ed a ballare. Una sinapsi tra suono e cervello. Una catarsi. Cose che la musica registrata non riesce a farti sentire. La musica ed il ritmo del tamburo sono invece molto conservativi, così come la danza ed il canto. Cambia anche la lingua, ma il canto rimane lo stesso.
Indossando sa carota, la maschera, ognuno fa di tutto per non farsi riconoscere. Per evitarlo spesso ci si maschera con gente con cui si esce raramente, si cambia il modo di camminare, si altera la voce, s’istrochede, si imita qualcuno. Si può cambiare la maschera anche nel giro di pochi minuti. La maschera non si tradisce e non tradisce, anche quando si riconosce qualcuno in maschera, non si rivela ad altri l’identità della persona. La maschera va rispettata, non la si deve disturbare o toccare. Non toches sa mascara! La maschera può invertire i ruoli: l’uomo spesso veste da donna e la donna da uomo. E’ sempre stato così. Sa maschera istramodidi, diciamo in paese, la maschera trasforma, cambia la persona ed è difficile da riconoscere.
La maschera entra in tutte le case ed è ospite gradito. La musica ed il canto aiutano ad entrare. La maschera non vuole scappare o nascondersi, vuole ritrovarsi: tra gli uomini, al bar o nelle case, nelle strade o nelle sale da ballo. Finito il carnevale, il mercoledì delle ceneri, Merculis de lèssia, ancora segni di lutto, quando chiniseris o intinghidores segnano il viso di nero, con le croci fatte col carbone. Ci si avvia verso la vera Passione. “Martis de carrasecare/merculis de Mementomo, sos ballos si ch’andan’ como, a Pasca deen torrare”. ”Martedì di carnevale/mercoledì di Memento Homo/i balli ora spariscono/e torneranno a Pasqua”. Mancunu nde campat de nois! Di noi non camperà nessuno. La Quaresima “comanda” quaranta giorni di digiuno a “chi vuole digiunare”, così si canta da noi.
In questo carnevale sembra di riconoscere noi stessi, tra ombre e luci. Sono attimi che ci rimangono dentro e che aiutano a ritrovarci, dandoci emozioni, come ce le dà questo carnevale di Gavoi e la sua “tragedia” musicale.
Info: Comune di Gavoi 07845363
A Gavoi è possibile pernottare in numerosi hotel e B&B
Testi: Pier Gavino Sedda